Per un nuovo agire sociale
Il presente ha la forma di una pausa, il futuro avrà la forma di queste ore


Con l’arrivo del Covid-19, abbiamo assistito ad un imprevedibile stravolgimento del sistema capitalistico che regola la vita sociale ed individuale.

Questa condizione imprevista ha in sé un potenziale. Il potenziale esplosivo di un’occasione unica: la creazione di uno spazio temporaneo di possibilità, in cui rivalutare ciò che c’era e ridefinire ciò che ci sarà.

Questa crisi non durerà per sempre. Invece di tornare a ciò che c’era, possiamo rendere questa fase una cesura. Un’occasione per una possibile rinascita.

Il momento in cui torneremo per le strade sarà un’opportunità per ripartire in maniera diversa, per reinventare il nostro rapporto con gli altri, con le cose e con il tempo.

Affinché sia così, è essenziale fare tesoro di ciò che scintilla nel buio del presente: azioni, riflessioni, e propositi individuali. Piccole luci che possano illuminare una nuova strada collettiva.
  
Da qui, l’idea di lanciare l’invito, aperto a tutti, di contribuire con semplicità e sinteticità a questa pagina, aggiungendo un commento (entro i 500 caratteri) che dichiari un proposito e/o una riflessione nati in questi giorni ed orientati verso il futuro.


L’evoluzione del progetto resta aperta, dipendente dall’adesione che questo incontrerà. I partecipanti sono invitati a lasciare il loro contatto per essere inclusi nelle fasi successive. Si potrà redigere un’antologia di imprevista saggezza collettiva, un documento programmatico su cui orientare nuove forme di socialità, o un manifesto, per chiamare a gran voce il cambiamento che, ora come mai prima, abbiamo la possibilità di realizzare. 




Towards new social interactions
The present has the form of a pause, the future will take the form of these hours


With the arrival of Covid-19, we are witnessing an unexpected disruption of the capitalist system that regulates social and individual life.

This unpreceded condition has potential in it. The explosive potential of a unique opportunity: the creation of a temporary space of possibility, in which to re-evaluate what was there and redefine what there will be.

This crisis will not last forever. Instead of going back to what there was, we can take it as an opportunity for a possible rebirth.

When we return to the streets, we will have the chance to start in a different way, reinventing our relationships with others, with things and with time.

In order to do so, it is essential to collect what shines in the present darkness: individual actions, reflections, purposes and intents. Small lights that could illuminate a new collective road.

The idea is to present an open invitation for people to add a simple and concise comment (max. 500 characters) that declares a purpose and/or a reflection born in these days and directed to the future.


The evolution of the project remains open, dependent on the response it will meet. Participants are invited to leave their contact information to be included in the later stages. What is here could become an anthology of unexpected collective wisdom, a programmatic document on which to orient new forms of sociability, or a manifesto, to call out the change that now, as never before, we have the opportunity to make.

29 commenti:

Nicolò ha detto...

Ci siamo fermati, finalmente, dopo una corsa estenuante per arrivare chissà dove. Chi poi? Ed in che direzione? Soli ci accorgiamo ancor di più del bisogno degli altri, la collettività come necessità della dimensione individuale. Tempo e pazienza, passerà anche questo male. Cos'è un mese d'altronde rispetto al tempo e alla storia? Ma ne verranno altri di mali che ora non abbiamo ancora visualizzato perchè lontani, distanti o perchè non li conosciamo affatto. Impariamo ad affrontarli assieme, a cooperare, a vivere inseguendo un benessere comune ed una società migliore. Impariamola assieme, questa nuova umanità.

Federica Cogo ha detto...


E' arrivato portando due colori complementari: la morte e la vita.
Sì perchè io tra i miei angoli disegnati da pavimenti e pareti ho trovato tutto quello che continuavo a rimandare, a tenere in sospeso, a respirare a metà. Ecco, il virus mi ha portato respiro, mentre a molti l'ha tolto definitivamente.
E' questo che posso osservare e sentire: una ventata di vita, fatta di ricerca, di studio, di ordine che quasi
odora da purificazione, il cedimento di ruoli e di maschere, di obblighi che generalmente portiamo avanti per stare dentro a una questa macchina densa. C'è natura in questa parentesi, anche se non usciamo. Perchè credo siamo tutti tornati a desiderarla più forte di prima. Il sole, la luce... E credo sia giusto parlare anche dell'ombra che ora ha preso forma con intime e domestiche perdite, paure solitarie che molti cercano di soccorrere con coraggio, sacrificio e altrettanta paura. Io in questo commento voglio dire grazie, sia alla vita donata, sia alle persone che hanno coraggio di difenderla. Andrà tutto bene perchè non abbiamo scelta. Un saluto a tutti.

mich ha detto...

La nostra società è ancora, fortemente, fossilizzata su un concetto di famiglia anacronistico e patriarcale.
La visione attuale sta scontrandosi con la realtà che il virus ci ha obbligati a vivere: i genitori, finalmente, svolgono lo stesso ruolo sociale in casa. Per forza di cose, siamo usciti dalla dinamica nella quale una/uno usciva per andare lavorare e l'altro/altra doveva (magari anche lavorando) badare alla casa (intesa sia come luogo sia come comunità).
In futuro, dovremmo ricordarci della assoluta parità di azioni e di prospettive che stiamo vivendo, in modo da costruire una famiglia e, di conseguenza, una società assolutamente paritaria.

Alice Guastamacchia ha detto...

Le svariate lezioni gratuite che stanno colorando i social mi hanno aiutata a dare forma a queste giornate.
Dov’è finito il “do affinché tu dia”?
Sacrificato in nome della continuità di un progetto e del bene collettivo, sembra essersi dissolto nel nulla.
Volti sorridenti ed accoglienti che dedicano TEMPO, appagati dalla semplice partecipazione e da un grazie.

Mi riprometto di non dimenticare questa silenziosa armonia tra i due capi del telefono e di ricambiare, ora e in futuro, questo bene.
“Ricambiare” non come trasformazione del do ut des quanto piuttosto come amor gignit amorem.


Pierangelo Di Vittorio ha detto...

Per prima cosa dovremmo convincerci che le catastrofi, oltre al loro carattere specifico e al loro portato di sofferenze, hanno un certo "valore d'uso". O meglio possono averlo, potrebbero averlo. Se solo fosse possibile mettere sul tavolo e confrontare valori d'uso diversi e magari conflittuali. A che cosa serve questa pandemia? A fare questo o a fare quello? Ad andare in questa direzione oppure ad andare in quell’altra? In Shock Economy, Naomi Klein ha mostrato come l'uragano Katrina sia servito tra l'altro ad abbandonare le politiche pubbliche in materia di edilizia popolare e istruzione a favore di politiche di stampo neoliberale (privatizzazioni, tagli alla spesa pubblica ecc.). Insomma il disastro è servito a imporre un certo sistema senza chiedere il consenso della gente. Chiediamo ai cittadini di L'Aquila se hanno avuto la possibilità di discutere democraticamente del futuro della loro città dopo il terremoto che l'ha colpita... Le catastrofi sono e saranno sempre più il banco di prova delle nostre democrazie. Ma toccherà a noi lottare affinché emerga quella cosa per nulla scontata che è il valore d'uso delle catastrofi.

In secondo luogo, sempre a proposito di catastrofi e in apparente contraddizione rispetto a quanto detto sopra. Quali ne siano le cause e la tipologia – naturale, ambientale, bellica, culturale, antropologica – la cosa più importante di cui assicurarsi, è che la catastrofe, invece di essere sospesa dinanzi a noi come un’eterna minaccia – stella nera che ha preso il posto del sol dell’avvenire –, sia sempre “alle nostre spalle”. E che quindi, incamminandoci da essa, andiamo ogni volta alla ricerca di altre forme di vita possibili.

Anonimo ha detto...

20.03.2020 - the spring equinox. The halfway point. Balance of light and dark. Going forward there will be more light than dark. After days at home, I want to remember to do just that going forwards, too. To be home. Alone. To let nothing happen. To see what arises. It isn’t always comfortable: darkness, stillness, solitude. But maybe the light will come eventually (and maybe it won’t) but I want to know to trust it. Not try to escape. To breath. To welcome less. Less movement. Less searching. Less striving. Less speed. More stillness. More satisfaction. More breath.

Meelone ha detto...

Trovo sottovalutata la consapevolezza di rimanere isolati con noi stessi per n giorni.
Ci potrà mai essere un momento più proficuo per ammorbidirci e prendere per mano la parte più o meno profonda del nostro io?
Sarà impegnativo, soprattutto per la nostra psiche; potrà essere difficile valutare quale sia il pensiero più razionale e l’emozione più pura ma una volta trovato il metodo, viaggiare dentro noi stessi non sarà per nulla spiacevole.
Amare tutti gli altri, di riflesso, sarà una figata pazzesca.

Anonimo ha detto...

Nelle svariate conversazioni sulla quarantena di questi giorni, ho sentito i miei amici avanzare tanti spunti interessanti.
Uno dei primi giorni, quando ancora si usciva, un’amica mi ha parlato della sua passeggiata del giorno prima. Mi ha descritto lo sguardo che i pochi passanti le poggiavano addosso: occhi diffidenti che dicevano “E tu che ci fai qui? Perché non sei rimasta a casa tua? Togliti di mezzo.” In quanto donna bianca ed agiata non era mai stata guarda così, non si era mai sentita additata come un pericolo o una presenza non gradita.
Ebbene spero che tutti quelli che hanno provato questa sensazione adesso, per la prima volta nelle loro vite, stiano attenti a non gettare lo stesso sguardo sugli altri in futuro. Uno sguardo che, quasi istintivamente, quasi sovrappensiero, abbiamo spesso rivolto agli ultimi, ai diversi, agli immigrati e ai poveri in generale.
Ora che abbiamo avuto la (s)fortuna di sapere cosa si prova, smettiamola.

Anonimo ha detto...

Ciò che vivo io, in questo momento, con particolare intensità qui in Inghilterra è la distanza tra la narrazione ufficiale della crisi (e delle risposte alla crisi) e l'esperienza materiale di essa.
I giornali celebrano l'intervento "senza precedenti" del governo "a supporto dell'economia e dei lavoratori".
I grandi sindacati cercano di invertire la narrativa: grande vittoria del lavoro organizzato nelle trattative con il governo. "Questo è ciò di cui siamo capaci quando lottiamo insieme per il bene di tutti e tutte le lavoratrici".
Cosa celebriamo? Il governo si impegna a pagare l'ottanta percento dei salari dei lavoratori per tre mesi, qualora i datori di lavoro ne facciano richiesta. Questa protezione non si applica a tutti quelli tra noi con contratti di lavoro intermittente o a chiamata, quelli che sono già stati licenziati, quelli in nero, quelli i cui datori di lavoro decideranno di non partecipare allo schema.
Niente amnistia degli affitti. Niente reddito di quarantena.
Un grande silenzio da quelli che avrebbero, almeno in linea teorica, la responsabilità di chiedere conto al governo dell'inadeguatezza della manovra.
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Ed in Italia? Un'indennità una-tantum di 600 euro a stagionali ed autonomi?Ah.
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Il romanzo della solidarietà sotto la quarantena, ma chi se la può permettere questa solidarietà? Ed a chi è rivolta? Chi ne è escluso?
Il nemico è l'irresponsabile, non lo stato ed il capitale che ti lasciano morire di fame.
Figuriamoci poi quale solidarietà sarà riservata ai milioni, nelle isole greche e nelle nostre strade, che una casa in cui rinchiudersi non la hanno.
La polizia a Bruxelles ieri giocava a rincorrere i senza fissa dimora da un capo all'altro della città. Non vi potete riunire all'aperto. Quando qualcuno ha chiesto ai poliziotti quale era il piano hanno risposto: non c'è.
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Un piano non c'è per molti e molte di noi.
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Ho letto che lo stato non ci salverà, che solo noi ci possiamo salvare l'un l'altro. Si, ma come? Io non lo so. Temo il romanzo della comunità, dell'orizzontalità, della reciprocità, che purtroppo non tutti ci possiamo permettere.
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Se neppure oggi riusciamo a chiedere insieme, a gran voce, ciò che ci spetta, mi chiedo quando mai ne saremo capaci.

Giuseppe Amedeo Arnesano ha detto...

Seppur con modalità drammatiche attraverso le quali si è presentata questa nuova "metodologia" di guerra, il lockdown diviene un'opportunità da sfruttare. Occorre dunque non impantanarci nelle problematiche e nelle vicende di questo momento, legate alle esigenze del singolo e del soggetto, ma come diceva Deleuze schiviamo il presente poichè la cosa fondamentale non è l'esistere, non è l'essere, ma il divenire nel mezzo. Come avviene nel romanzo di Melville, in un certo momento Moby Dick e il capitano Achab sono coinvolti in un divenire comune. Entrambi si trovano ad ascoltarsi in una serie di concatenamenti, l’uno nei confronti dell’altra e viceversa, e successivamente a incontrarsi e trasformarsi in una zona di mezzo. Da questa lezione l’uomo dovrebbe imparare ad ascoltare il grido della madre terra e concedere ciclicamente, e per il bene di tutti gli essere viventi del pianta, dei periodi di tregua, una pausa globale dai frenetici ritmi di produzione industriale, culturale e sociale. Dobbiamo essere attratti dalla natura per trasformaci insieme ad essa e comprenderla per la salvaguardia del mondo.

Barbara Santoro ha detto...
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Barbara Santoro ha detto...

Hai presente quando cammini per strada, sei sovrappensiero e urti qualcuno con la spalla?
Quel momento lì, che ti irrita perché per un istante ti fa perdere l’equilibrio del tuo percorso, il filo dei tuoi pensieri.
Quel fastidioso effimero incidente che ti porta a girarti, incrociare lo sguardo di uno sconosciuto, biascicare una scusa frettolosa e riappropriarti del ritmo della tua camminata.
Questi sono gli episodi di cui sento la mancanza. Attimi solitamente privi di qualsiasi importanza.

Tutto cambia in fretta
E tu osservi da lontano
Ritorni a casa
Ma è tutto diverso
Il tempo è fermo.
Non toccare niente
Non ti avvicinare
Non condividere i tuoi spazi
Che gioco strano.

Confinata tra le quattro mura di una stanza, sento sul palmo delle mani una specie di prurito.
La fine di questa crisi me la immagino così: pelle contro pelle.

Roberto ha detto...

Sincronizzarsi col mondo, inteso sia come pianeta che come esseri umani; tornare alle origini e rivalutare tutte le nostre priorità. Imparare a conoscere se stessi, scavare dentro cercando quel qualcosa di davvero importante e prezioso.
La terra sta sanguinando, queste sono le conseguenze.
C’è così tanto di sbagliato dentro e intorno a noi al momento, che riuscire a scrutare una luca è complicato, sembra quasi impossibile ma non lo è!
Spero in un cambiamento drastico ma non sono mai stato capace di vedere le masse, riesco piu a pensare a cosa tutti possiamo fare, anche se nel nostro piccolo.
Spero e credo che rimarremo tutti quanti segnati e che vorremo di più. Più noi stessi, più libertà, più bontà, più altruismo.
Vorremo aggiustare il mondo, un passo alla volta.

Laura Camardelli ha detto...

La quotidianità me la ricordo fatta di piccole cose e di piccoli luoghi, e su queste piccole cose e su questi piccoli luoghi, piccoli corpi saltellavano e disegnavano una rete colorata, chiassosa e ogni tanto distruttrice.

Da quando sono chiusa in casa sento il corpo pesante, e mi sembra sempre più difficile che riesca ad avventurarmi per le strade improvvisamente larghe e deserte. Ogni tanto la sconosciuta dirimpettaia si sporge, si guarda attorno, ritira nervosa il bucato. È quella stessa dirimpettaia che tante volte devo aver incontrato al supermercato, quando aveva il buon cuore di lasciarmi saltare la coda alla cassa perché avevo solo una cosa, sono giovane e chissà quante promesse a riempire la mia giornata.

Ora, invece, quando siamo in coda, ci teniamo distanti. Teniamo ben salde le uova e il latte che sembrano finire presto, abbiamo riempito il carrello che traballa e prova a nascondere l’angoscia, l’isteria, la tristezza.

Oggi ho dimenticato la mascherina, c’è qualcuno che mi guarda storto. E in un attimo mi pare di aver perso ogni privilegio: non importa più se sono giovane o se camminavo senza posa, se la mia pelle è bianca e posso comprare senza troppe preoccupazioni.

Mentre torno a casa con i sacchi pesanti della spesa, mi rendo conto che adesso, nel mostrarci, siamo tutti uguali: abbiamo lo stesso spazio, quel metro e mezzo che imponiamo agli altri con uno sguardo ostile per tenere le distanze e ricordarci di aver paura.

Sara True ha detto...

The world had been running for ages now, turning and turning, spinning its somersaults around the sun. It had grown tired. All it desired now was a momentary respite, to pause and collect its thoughts: to watch its fish swim in streams and canals of clear water, to hear the birds chirp in the spring, a sound normally drowned out by the industry that ran amok on its breadth. The world was running faster, just a bit, every year, with each turn it increased its speed as if it could faster approach the finish line; some final rest. As if it just wanted the race against itself to be over with. As if it could outrun itself by holding its own breath.

And then the time came for history to halt, for the movement of progress and time and flux and flow and ecstatic expansive running to simply- stop. For a time. For a time of who knows how long. To contract. To take space, but take up less space. To find more space inside the inner self. To reach out from within the space of inner space. The earth retracted itself into its core. It slowed its roll. It exhaled, of necessity. It remembered how intimacies felt gloriously real, how green leaves seen in the morning sun from a balcony were just enough, were alright. How important it is to reach out to loved ones and to focus all one’s attention on lovingkindness, how in fact, so the earth discovered, things that are worrisome are not as important as they seem. The earth rested, together, with all of its life forms blossoming again. A quiet re-emergence. A silent moment. A collective breathing of spring.

Mi ha detto...

L'importanza della comunicazione e l'importanza della comunità.
Quanti di noi, convinti (o spinti ad essere convinti?) del fatto che l'individualismo potesse essere lo strumento migliore, maggiormente idoneo, per raggiungere i nostri obiettivi?
L'insegnamento principe durante tutti gli anni scolastici e universitari è stato - in linea di massima - "è necessario prevalere sugli altri". Di qui le folli gelosie basate sui voti, le folli corse nel cercare di superare tutti, che poi inevitabilmente rischiano di svilupparsi in una ricerca di rallentamento del prossimo.
Oggi, invece, pare che tutti siano alla continua ricerca dell'altro. Sembra che il confronto sia - finalmente! - diventato necessario e, soprattutto, voluto.
Ricordiamoci - in futuro - quanto ci siamo sentiti piccoli e persi nel nostro futile individualismo e cerchiamo di assumere le sembianze di una comunità

Anonimo ha detto...

Ora che sono chiusa in casa, ho molto più tempo per riflettere sul mio privilegio. Sulla fortuna che ho di vivere in un ambiente tranquillo, privo di urla e di violenze, ricco non solo di beni essenziali ma anche di beni superflui. Cose che normalmente do per scontate, perché non ho il tempo di pensarci.
Invece adesso, con molto più tempo per leggere i giornali e sensibilizzarmi sulle tematiche di genere e sulle condizioni in cui vivono i più sfortunati, apprezzo quello che ho molto più a pieno.
Spero che queste prese di coscienza mi aiutino a relazionarmi agli altri diversamente, per far sì che il tempo passato fuori casa sia per tutti un momento calmo e rigenerante rispetto alle dinamiche da cui non possono scappare.

Marco ha detto...

There are a lot of lessons that we can learn from this context, from this situation extremly delicate.
I don't want to sound rhetorical but we can start to appreciate small gestures, little smiles and other kind of things that probably our grandparents were able to valorize more than us.
To be honest i'm not so confident in human nature and its capacity to learn from past mistakes, history can teach it.
But even if a small amount of people can change their behaviour and their approach toward other people and nature, probably this virus will leave a positive (or not so negative) effects in our mind.

Marita ha detto...

La famiglia, nel bene e nel male, è il posto in cui ritorniamo.
Dopo una lotta durata anni contro quello che i miei genitori mi hanno detto e imposto, mi rendo conto di tante cose.
La prima è che la mia tendenza oppositiva, presente per natura, non è mai stata rivolta contro di loro direttamente, quanto, piuttosto, alla parte di loro che vedo in me e non vorrei avere. Quindi la mia lotta è contro me stessa.
La seconda è che nel conflitto quotidiano, che è sempre stato molto permeante, sto riscoprendo la vicinanza a loro. Sto vedendo e osservando comportamenti disfunzionali che hanno sempre additato come presenti solo in me, mentre sono insiti in loro stessi e non ne sono coscienti. Rendermi conto di ciò e averglielo detto, non ha migliorato la situazione. Dunque mi domando quanto si possa arrivare a conoscere se stessi senza l’ausilio degli altri.
L’uomo conosce se stesso attraverso la solitudine ma soprattutto in relazione al mondo esterno. Questa condizione di isolamento fisico dagli affetti che non siano la famiglia mi fa riflettere molto sul valore che viene dato alla condivisione del tempo.
Sono disposta ad ascoltare sempre, ma adesso parlare non serve molto. Perché tutti sentiamo allo stesso modo.
La paura della malattia come della morte è come una zanzariera. Vediamo ciò che c’è fuori, ma con dei contorni grigi. Intrappola nelle maglie pezzi di pensieri che mai avremmo visto, mosche e moscerini che anziché essere fuori, sono dentro di noi.

m ha detto...

Leggevo da qualche parte una frase del tipo "la morte non fa distinzione tra classe sociali".
Mi pare una follia. Stiamo assistendo alla chiara dimostrazione del fatto che uno Stato non può prescindere da una solida sanità PUBBLICA.
Iniziamo a sentire - e ne sentiremo sempre di più nei prossimi giorni - storie di persone che, in paesi come gli USA, non hanno la possibilità di curarsi, non hanno la possibilità di effettuare gli esami giusti, o si stanno indebitando a vita per sopravvivere.
è normale tutto ciò? non penso che il mio sia un discorso retorico: semplicemente che lucrare sulla malattia sia la morte di una società democratica e la vera dimostrazione del fatto che un sistema basato esclusivamente sul profitto (come quello in cui viviamo) sia insostenibile.

Quindi, proprio perché non credo che la morte non tenga conto delle classi sociali e anzi ne amplifichi le differenze, in futuro dovremo cercare di mettere al centro della discussione l'importanza di una sanità assolutamente pubblica.

Rossella ha detto...

Questi sono i giorni in cui ci sentiamo un pò tutti in gabbia.
Non ci è permesso di svegliarci la mattina nella nostra quotidianità, affrontare le ore di lavoro, le stesse del giorno prima, per arrivare poi alla sera distrutti, magari con il solo desiderio di un pò di compagnia che possa porre un lieto fine alla giornata. Pensandoci..alla fine, non è poi così tanto male nè vivere la vita giorno per giorno, nè trarre il meglio anche da questo tempo di chiusura. Se i primi giorni ci si chiudeva nella malinconia e nell'insistente voglia di evadere, ad oggi abbiamo imparato a "rivivere" quello che è il nostro ambiente reale. Magari abbiamo avuto un momento per prendere in mano un libro, cosa che prima era diventato quasi impossibile, oppure ci siamo buttati tra uova e farina a sfornare focacce e dolci. Così, alla fine, questa gabbia non è poi così male.

Anonimo ha detto...

이 바이러스는 내가 지난 20년간 믿고 느끼던 것들에 대해 의심을 줬다. 21세기에 인류에게 자연이 경고하고 있는 이 사태는 오래전부터 예견된 것일지도 모른다.

TV를 틀면 전 세계가 어떻게 바이러스에 무너져 가는지가 매일 나온다. 처참하다는 말조차도 처참한 이 상황에서, ‘시간이 흐르면 다시 괜찮아 질거야’라는 말만 믿고 기다린다. 이 기다림의 시간을 빨리 끝내기 위해 세계의 모든 사람들이 노력하고 있지만 그 이후에 우리는 무엇을 얻을 수 있을까? 1000년이 지나면 후손들은 이 사건으로부터의 교훈을 여전히 간직하고 있을까?

연대. 나는 이것이 정답이라고 생각한다. 지금처럼 서로를 돕고 내 가족부터 지인, 그리고 나와 만났던 모든 세상의 사람들. 분열이 아닌 연대를 통해 바이러스를 이겨내는 힘을 보여줘야 한다. 집앞 놀이터에서 내가 매일 놀던 좋은 기억을 한국의 아이들에게 주기 위해서라도, 2년전 내가 살던 도시에서 비눗방울 놀이를 하며 웃음짓던 아이들을 위해서라도.

This virus has given me doubts about what I have believed and felt for the last 20 years. This situation, which nature warns mankind in the 21st century, may have long been foreseen.

When I turn on the TV, can see how the whole world collapses with the virus every day. Even it’s sad to use the word ’tragic’. We wait for the word 'Time will get better again’, but don’t know when. Everyone in the world is trying to finish this time quickly, but what can we get after that? After a thousand years, do descendants still keep the lessons from this virus?

Solidarity. I think this will be the answer. People from my family, friends throughout the world I've met, they should show the power to overcome the virus through solidarity, not division. To give good memories of playing every day to Korean children in the playground in front of the home, for the children who used to play bubbles and laugh in the city I lived two years ago.

Francesco Catalano ha detto...

E' finite la legna, e non riesco a sopportare l'idea di non poter stare ancora davanti al fuoco. Dovro' girare la citta' con un finto carrello della spesa, per cercare qualcuno che me la venda. Lo schermo del lavoro, degli impegni quotidiani, in questi giorni e' svanito, ed ci siamo resi conto che dietro di esso le nostre vite sono molto piu' anonime di quello che immaginavamo, che alla fine la routine ci protegge dal cercare i nostri sogni e realizzare la nostra mediocrita'. E quando avremo realizzato questo, la nostalgia non sara' piu' quella di un tempo.

Anonimo ha detto...

A Boost of Hope, a Bringer of Clearance, what a Gift to Humanity.
Unless
you let
you
let
it
take your hope

Will you let
it take you
Will you let
it take your faith
Will you let it
Will you try to control
something
that was never
yours

Will you extend your Stay
in a prison

How much more time
do you
need
in prison
When will you break
Out
Of the prison of disillusionment
Thinking you ever had a chance
To control
Anything

When you cannot even control a single hair
From turning
grey

When will you let go of time
When you have always been rich
With time
Fixing your eyes on eternity
How would you be
if you’d know
you’d be forever
How would you love
How would you respond
How patient would your heart rest
How would you breath
Knowing you have
all the Time

Resting in His eyes

Would you sit
still
Would you endure
faithfully
Would you choose
to fill your heart
Patience
Patience was taken
from us
Patience is a characteristic which can only be cultivated

What happens if this trade is taken from us
“Humans are getting faster”
Are we?
Instead: Aren’t we close to having to start all over again?

Direction
Doesn’t the direction has a greater impact than the speed?

Location
What happens
when we run
Ignoring where we run
Do we run because we know
That we are not where we are supposed
to be

Does speed change
the direction?


A runner caught
in a maze
What happens
if he reaches the limit
of speed
The very thing he relied on
was
time

The very thing he worshipped was
time

When it doesn’t go faster
Where will he go
When he is disappearing
In the speed of
Light

Dissolving
Does he want to dissolve
Does he want to be unseen, unknown
Because in his heart he carries a truth which knows he is
On a path of lies
Too scared to stop, too scared to breathe
Too scared to look, too scared to hear, too scared to speak
Too scared to Know
Too scared to See
Truth

Stopping is only painful if we are burning
Shouldn’t we swim

But there is a promise
That if we
Stop
If we dare
To strip down
Everything
If we offer all of us
To the One who knows us
To the One whoms heart we break in our self-sabotage
To the One who wept with us
To the One who loved us throughout
To the One who kept his loving arms around us
To the One who gave his only child
To the One who loves us no matter how broken
we are
Loving us in
All of our pain
All of our emptiness
All of our faults
All of our guilt
Truly

We shall choose freedom
We shall choose to receive the love that has always been there
We shall choose to see

Who we have always been
Who we were called to be

Breaking free has always been worth
The pain

All you leave behind at the cost of truth
has always only taken from you but never Gave
All you loose is
Blindness

He is here to Give

Weeping lasts for the night,
Joy comes with the morning.

We shall be filled.
There was however,
a night to endure before
the morning dawned.

In everlasting love

Anonimo ha detto...

A good lie is the truth slightly changed: Self-love vs Self care
Life-taking vs Life-giving

Thank god we are facing an economic depression and loose (unnecessary)wealth?

We were drowning in narcissism
Feeding demons of egocentrism
Drowning
in self-pity
Clinging on to artifical "self-love" movements
Do we really need to love ourselves even more?
When were we more self-centered than now?
Is that healthy?
Does that give you a sense of peace?
Dont we need to love others more instead?
*
What is a good lie? The truth - slightly changed.
*
Which will bring true freedom? Isnt loving others the most liberating and nourishing thing for your soul?
Isnt loving yourself leading to isolation, bitterness, greed, narcissism, envy and destruction?
Why are obvious things hard to see?
We dont have a problem of giving too much of us- that is an illusion- we give to little?*
Desperate for deliverance, desperate for healing, desperate for freedom
of our ego.

Feeding the idea that isolation and selfishness is "having boundaries"- a false friend.
Experiencing this now at its most concentrated level-
how unhappy isolation makes- it could not be further from self-love. It has never been the answer to boundaries.

Having boundaries means: focus- but we loose focus if we drown in ourselves cause it will lead to overthinking which will take sanity from us and confuse us till we forget why we came to earth.

Freedom to focus will come with simplictiy, with loving others, it will nourish us til there is so much joy,love and peace in us that things we call "boundaries" are natural.

Start doing things for others, try it as an experiment- not feeding selfish codependence but do actual things for others without them even knowing (if possible) Then come back. Does that bring peace to your restless mind? Does that bring satsfaction, focus? Follow what brings you peace, not what makes you happy. It helps to see clearly in this confusing world which is now thankfully getting less confusing, more simple- is that a gift?


That is love
Which will bring freedom
Loosing wealth shall humble us
Humility is the highest of all trades
Arrogance is a false friend
We use the word "self-love" to excuse selfishness
Self-care is all we need, self-love we need to overcome to be free.
Breaking out of the chains of our ego

Radically redefining
What it means to make the most of yourself and your life


Will millennials use the "economic depression" as an excuse to go for the freedom of being ordinary

Will it take the pressure of them

And will the be able to receive

To receive the present of letting go of their self-love

Marta ha detto...

«Écoutez bien,

Vous entendez ce bruit de pression inconnu jusqu’alors? [...]

Elle est l’exacte image du Progrès.

Rien ne sera plus comme avant, [...]

Tourne, chauffe, plus vite!

Sans fatigue,

Plus jamais de fatigue... [...]

La course commence et elle ne va pas cesser d’accélérer. [...]

Le charbon règne sur un monde qui a faim d’essayer, de chercher, d’améliorer.

L’humanité plonge à corps perdu dans la production.

Ça commence là,

Par le son nouveau, répétitif et mécanique de machines à tisser […]

Sans savoir qu’elles vivront dorénavant en cadence, du matin jusqu’au soir.

Ça commence là,

Par l’Europe, [...]

Nous sommes nés de cela.

Enfants de l’industrialisation. […]

Ce moment où tout s’accélère et où l’homme européen se dit que le monde est un fruit juteux fait pour être exploité. […]

Plus vite,

Plus fort,

Jusqu’à la tombe!" L. Gaudé, Nous l'Europe, banquet des peuples.

In questi giorni difficili per l’Italia e l’Europa, abbiamo visto gente affacciata ai balconi parlare e cantare insieme per sconfiggere una solitudine che ci è estranea per natura e per cultura, abbiamo visto gente improvvisare spettacoli dai balconi per alleviare la noia dei vicini. Una noia a cui non siamo più abituati, da anni appartata dalle nostre vite accelerate e cadenzate da una regolarità sfinente con cui ci interfacciamo ogni mattina, noi, i figli dell’industrializzazione.

E allora i rioni e le strade d’Italia sono tornati a sorridere in questa promiscuità folkloristica, ormai retaggio del passato. E sempre noi, i figli dell’industrializzazione, critici part-time di un sistema che non abbiamo ideato ma di cui abbiamo ampiamente beneficiato, ci ritroviamo, improvvisamente, fuori dal sistema. Quando mai ci ricapiterà?

Questa crisi ci mette davanti alla nostra fragilità e alle nostre paure, fa cadere il palco dell’invincibilità occidentale che innalza frontiere e protegge il suo esclusivo stato del benessere dietro stereotipi stantii. Per la prima volta, siamo noi gli indesiderati.

Sta, altresì, mettendo in discussione le politiche di privatizzazione e i tagli imposti negli ultimi anni alla sanità pubblica, dimenticando che questa sarà l’unica capace di salvarci da emergenze sanitarie e catastrofi naturali che sempre più diventeranno parte della nostra quotidianità.

La macchina burocratica dello Stato verrà messa alla prova dall'imperativo di snellimento delle pratiche ed erogazione capillare dei servizi alla cittadinanza. Staremo a vedere se saprà stare al passo con i tempi dell’era digitale.

La temporanea “centrifuga” di concetti come tempo libero, lavoro, comunità e consumismo aprirà nuovi scenari fino ad ora mai presi sul serio né dai governi né dai cittadini? Lotta contro i cambiamenti climatici, transizione energetica, consumo responsabile e circolarità delle risorse, slow living, lavoro intelligente, conciliazione familiare, comunità inclusive e chi più ne ha più ne metta.

Viviamo nel paradosso in cui limitazioni delle libertà individuali – inedite per noi - possono renderci veramente liberi. Noi, i figli dell’industrializzazione, abbiamo l’opportunità (e la responsabilità) di disegnare la società che vogliamo quando tutto questo finirà.

Ascoltate bene,

Sentite il rumore del silenzio sconosciuto fino ad ora?

Uno spazio extratemporale in cui possiamo andare lenti,

Stimolare la creatività, quella vera però, fine a sé stessa, che non vede profitto.

Pensare, quanto mi piaceva farlo. Pensare in grande, ancora di più.

Senza dubbio dev'essere questo, il Progresso...

E allora, noi, i figli dell’umanesimo, diventiamo, di nuovo, Arte.

Sarah Wong ha detto...

I have been looking back on creations of past times and my words, drawings, dances, and thoughts take on new weight in the current situation. Everything feels highlighted, magnified, too close for comfort. Life has changed, but human fears have not. I see now that fears are not just imagined scenarios, but they are real and tactile. Loneliness, death, the unknown… I know these figures well. I remember an important moment I had with my therapist a few months ago. Eyes closed, I was picturing my younger self and my therapist asked me what I’d like to tell her. I said I love you. And I realized that every dark, depressed and fearful moment I’ve experienced was a time that lacked love. So here I am at home and I find myself falling back on things I’ve always loved: writing, dancing, baking, basking in the sun, putting on a good outfit. It feels like a return, like a homecoming, but not because of my physical surroundings but because I’ve arrived in my body. This time is not one of discovery - it is of remembering.

Irene ha detto...

Nel Paese in cui vivo, la fame da quarantena uccide più del virus.

Nel Paese in cui vivo, è in corso un'epidemia di dengue, e ci si prepara alla stagione dei monsoni.

Nel Paese in cui vivo, vivo in una casa spaziosa. Accanto al mio palazzo, muratori ammassati sotto un tetto di lamiera.

Nel Paese in cui vivo, il bianco della mia pelle mi protegge e mi rende un bersaglio allo stesso tempo.

Nel Paese in cui vivo, l'aria è inquinata e migliaia di persone muoiono ogni anno di polmonite. E questo virus, purtroppo, ama i polmoni deboli.

Nel Paese in cui vivo, il peso del mio privilegio mi tiene sveglia la notte. Ora, ad esempio.

Nel Paese in cui vivo, ci si appiglia ad Allah per sperare di uscirne, come da altre parti ci si appiglia a Gesù Cristo, a Shiva, al Tempo, alla Scienza, all'Io, al Noi.

Nel Paese in cui vivo, se di giorno non guadagni, di sera non mangi. Ed è da un mese che è vietato uscire di casa.

Nel Paese in cui vivo, la situazione sta diventando disperata.



Eppure nel Paese in cui vivo ho visto degli occhi dolcissimi. E contro tanta dolcezza, si sa, non c'è virus che tenga.

Anonimo ha detto...

Al principio, solo quería volver hacia el pasado, y hacer todo lo que pospuse en el tiempo pensando que éste estaba de mi parte. Luego tuve ‘tiempo’ de entender, más que de aceptar, que no volveré ni a ese lugar ni a ese momento para poder hacer aquello que dejé para más tarde - por miedo más que por pereza. Entonces, empecé a vivir lo más cerca posible del presente.

Intentar saborear el presente ha hecho que haya estado más cerca de mi familia en estas semanas que en los últimos 3 años juntos. Se me había olvidado la calidez que respiro al tenerlos tan cerca, al cuidarnos mutuamente. Ha sido una condensación del tiempo: El pasado, el presente y la presencia han hecho un acorde perfecto para vivir el instante.

Entre otras cosas, y recordando lo que pudo haber sido y no fue, lo que llevaré conmigo después del confinamiento es no tener miedo de hacer lo que siento aquí y ahora.